La notte di Anita

La notte di Anita

Ciao ragazzi, finalmente riprendiamo la pubblicazione anche su questo blog! Sulla nostra comune di scrittori e quale articolo sarebbe più ideale, se non un racconto a quattro mani?

Lascio ogni commento a voi, nostri lettori!

La notte di Anita di Gianni Gregoroni e Giuse Oliva.

La notte di Anita

Capitolo 1 – sul cesso

Lo sguardo fluttuava ora sul lavandino ora fuori dalla finestra. Seguiva ora la linea della porcellana, ora la linea delle montagne.
Seduto sul cesso si sentiva la pancia bruciare
<<Dannazione a me>>, inveiva contro sé Franco.
<<Dannazione a me, era meglio se me ne stavo a casa>>.
Ripensò alla sera prima: di nuovo al lago, di nuovo in quel maledetto bar, fino all’alba. Shot e patatine, tortillas e amari a non finire. D’altra parte aveva riscosso il primo mese di lavoro in quel posto, e voleva festeggiare sputtanandosene almeno un po’ in divertimento. Donnine quella sera non ce n’erano e così non restava che la briscola e la birra. La birra poi aveva chiamato il vino e il vino i superalcolici.
Alle tre e mezzo Antonio il barista aveva chiuso il bandone e s’era messo a giocare pure lui.
<<Questo l’offro io!>>
<<Grazie Anto’>> avevano risposto in coro tutti.
Se il barista offre che fai? Non accetti? No, accetti eccome, accetti e poi passi la mattina sul cesso con lo stomaco in panne.
Franco aveva appena vomitato l’anima e aveva voglia di una sigaretta: niente sigarette però, l’ultima l’aveva prestata a… <<Come si chiamava?>> pensò alla donna.
<<Anita!>> esclamò.

Alle quattro avevano sentito bussare al bandone del bar.
<<Ohe? È chiuso>> aveva urlato Antonio.
<<Sono l’Anita, dai bello ho freddo>>.
Antonio aveva alzato un pezzo della saracinesca e Anita era entrata,  infreddolita, e bisognosa di un toast oltre che di un goccio.
<<Che fai biondina?>> le chiese Franco fissandola. Era proprio bellina.
<<Non me lo fate un caffè?>> disse eludendo la domanda e sedendosi a sghimbescio su una sedia, in modo da poter accavallare bene le gambe, per chiudere il varco agli sguardi che risalivano dalle caviglie su fino alla minigonna a pelo mutandine.
<<C’hai freddo sì, guarda lì non c’hai niente tra la cintura e il primo bottone della camicia lassù!>>, fece Anselmino, il vecchio cacciatore, sempre vestito in mimetica.
<<Dove sei stata che c’hai graffi sui polpacci?>> chiese Antonio, mentre  andava al bancone a scaldare la macchina dell’espresso.
<<Quante ne vuoi sapere>>.
Franco rimase zitto, intorpidito dall’alcol a fissare quella nudità seduta tra camicia e cintura, come l’aveva chiamata Anselmo.

<<Uè moro, come ti chiami. Mi guardi il tatuaggio?>> esclamò d’un tratto Anita alzandosi e mostrando un sole che sbucava dalla gonna, un sole dai raggi intricati che si annodavano risalivano su fin dentro l’ombelico.
<<Adoro stare a guardare l’alba la mattina!>>.
<<Ti piacerebbe morettino vero? Eh, no questa è merce che costa>>.
<<Dovevi passare prima che mi rapinassero con le carte questi vecchi bastardi!>> concluse Franco.
Tutti risero a quella battuta e la cosa finì lì.
Dopo un giro di caffè e un tramezzino per la donna, il gruppo si sciolse.
Chi in bici che a piedi, ognuno s’incamminò, mentre Antonio rimase dentro.
<<Tanto tra un’ora e mezzo io apro,>> disse <<che faccio, vado a casa? No! Sto qua no?>>.
Franco invece doveva tornare a casa, lui viveva poco fuori il paese. Arrivò barcollante alla macchina, una Prisma color blu, roba d’altri tempi, e azzeccò la serratura al decimo tentativo.
<<Se guidi t’ammazzi>>.
Era Anita che lo squadrava a braccia conserte.
<<No mica guido, apro la macchina e dormo qui un po’>>.
<<Ah, facciamo così, se ti fidi, che al bar tutti mi conoscono almeno un po’, ti ci accompagno io a casa, poi vado a casa mia con la macchina. Vengo a riportartela diciamo alle dieci e mezza, ci stai?>>.
E così era andata.
“Tanto”, pensò Franco “chi me la ruba una macchina del ’87?”
E comunque, seppure un briciolo, con quell’Anita lui si sentiva di non dover alzare le difese. Ma forse era l’alcol!

Franco seduto sul cesso imprecò di nuovo: l’orologio diceva le dieci e undici minuti, se non si sbrigava Anita l’avrebbe trovato così, in quelle condizioni.
Due minuti dopo sentì scampanellare alla porta.
<<Cazzo, pure in anticipo!>> fece.
Prese il coraggio e lo stomaco e si alzò. Arrivò alla porta mettendosi una camicia sopra la t-shirt e chiudendo bene i pantaloni.
Aprì scalzo la porta e si trovò davanti un carabiniere
<<Franco Salvetti? È sua una Lancia Prisma blu targata…>>
Cazzo!
<<Sì>>
<<Dovrebbe venire con noi, si metta le scarpe>>.
Noi erano altri due carabinieri vicino alla loro Alfa.
<<Posso sapere cosa è successo?>>
<<Le spieghiamo tutto al comando>>.
Lo trattarono freddamente, del resto non aveva questa gran fedina penale, ma neanche era un criminale incallito. Due volte fermato per guida pericolosa, una per ubriachezza, ma era a piedi quella volta, era solo rumoroso niente di più e una rissa, non grave, quando lavorava a Genova.

Al comando il brigadiere lo fece sedere in un ufficetto con qualche quadro alle pareti e mobili scuri, lo fece aspettare un bel po’, finché non venne il maresciallo: maresciallo Mariani diceva la targhetta sulla scrivania. Mariani, un tipo tarchiato e coi capelli grigi schiacciati da un cappello troppo piccolo.
<<Allora, l’auto è la sua no?>> disse senza neanche sedersi e senza salutare.
<<Sì, la Prisma>>.
<<Dica solo sì>> precisò il maresciallo.
<<Sì>>.
<<Conosceva Anita Tarozza?>>.
<<Solo di vista>>.
<<Sì o no?>>.
<<No>>.
<<E com’è che aveva la sua auto? Gliel’ha rubata?>>.
<<No>>.
<<Si spieghi meglio>>.
<<Ero ubriaco e lei si è offerta di accompagnarmi a casa>>.
Che altro poteva dire?
<<E lei presta una macchina alla prima persona che capita?>> il brigadiere e il maresciallo ridacchiarono.
<<Ma mica mi ruberanno un’auto di trent’anni fa? E poi ero ubriaco e lei molto carina>>.
Il carabiniere sorrise e annuì.
<<Carina, davvero vestita poco, magari sembrava disponibile, e ora, è morta>>.
<<Come morta?>> Franco sbiancò. Morta?
<<Anita, donna attraente e lì in macchina con lei. Proviamo a vedere come può essere andata: magari lei signor Salvetti allunga le mani, la donna non ci sta>>.
<<O, oh! Calma no no, io non c’entro>>.
<<Si calmi lei o chiedo a Munini qui che la ammanetti!>> gridò il maresciallo indicando il collega.
<<Io mi sono fatto accompagnare a casa e sono salito in casa, lei ha proseguito, non ricordo molto altro>>.
<<L’abbiamo trovata due chilometri oltre casa sua, sulla statale nella sua macchina in una viuzza laterale, con la portiera spalancata, morta>>.
<<Morta?>> sussurrò Franco
<<Sì, morta ammazzata, varie ferite con un cacciavite, e ce l’abbiamo il cacciavite perché gliel’hanno lasciato piantato addosso!>>.
Il maresciallo si sedette sulla scrivania, scostando qualche foglio e la targhetta col suo nome.
<<Via, sia gentile, ci dica perché l’ha ammazzata>> suggerì.
<<Non l’ho ammazzata e poi che l’ammazzo in macchina mia e torno a piedi?>>, rispose con la gola secca, Franco.
<<Ecco ecco, sì è questo qui! Ehi lui! Sì il Franco quello del nord che lavora al cantiere!>>.
Un vecchietto indicava Franco, era nell’ufficio di fronte e lo indicava dalla porta aperta.
<<È lui, sì, la biondina l’ha lasciato sotto casa ed è partita a razzo>>.
Franco si sentì pervadere da un senso di calma, anche se voleva vomitare; vedi mai a che serve un vicino curioso.

*

Capitolo 2 – Il dopo sbornia non finisce mai

Franco si fece riaccompagnare a casa da una pattuglia. Dopo aver tirato un sospiro di sollievo anche lo stomaco si rilassò e vomitò di fronte a tutti, quel che rimaneva di tortillas e birra della notte prima. I crampi non accennavano a diminuire. Probabilmente quella scena impietosì il maresciallo dei carabinieri e ordinò a uno dei suoi di riaccompagnarlo a casa; forse voleva solo evitare che causasse qualche incidente o disordine pubblico, tant’è che come aveva lasciato la sua abitazione ora ci tornava: a bordo di una gazzella dei carabinieri.

Entrò in casa e si abbandonò sul divano con un mal di testa che non avrebbe fatto invidia a nessuno. Aveva ricordi vaghi della sera prima, ma quella ragazza era morta. Non l’avrebbe più rivista.

Se non fosse stato troppo ubriaco, probabilmente l’avrebbe invitata a salire in casa, forse sarebbe ancora viva, ma molto più probabilmente non gli si sarebbe nemmeno avvicinata. Le ragazze di quel tipo non erano alla sua portata e poi… non sembrava davvero una puttana come voleva dare a vedere.
Chiuse gli occhi e cercò di addormentarsi, ma quel maledetto mal di testa e i crampi allo stomaco non gli volevano dare pace. Si rannicchiò in posizione fetale e piano, piano si addormentò in un dolce sonno, senza sogni.
La finestra della sala sbatté con violenza e l’aria gelida di Novembre lo svegliarono di colpo. La stanza cominciò a vorticare e dovette sorreggersi al divano per non cadere come uno scemo sul pavimento.

<<Franco>>
Si voltò di colpo, ma non vide nessuno.
<<Franco!>>
<<Chi cazzo sei?>>, Franco si alzò in piedi barcollante, il mal di testa gli stava martellando nelle tempie senza dargli tregua. Si maledisse per aver bevuto come un porco la sera prima e per essersi ridotto in quello stato! Richiuse la finestra e quando si voltò, gli mancò per un attimo il respiro.
Anita era lì, in casa sua, con il sole dell’alba che si irradiava dal tatuaggio sotto l’ombellico. <<Franco!>>.
La donna gli afferrò un braccio ed emanava un caldo tepore. Gli piaceva quel contatto, avrebbe voluto stare lì e abbracciarla, ma Anita era morta e non si capacitava del perché quella ragazza gli fosse rimasta così impressa.
<<Devi andartene da qui!!!>>, continuò la sua visione. L’uomo le sorrise come un beota. Era ubriaco, e questo non era una novità, ma pazzo, questa sì… sua madre si sarebbe rivoltata nella tomba! Si trascinò in cucina alla ricerca di un analgesico, ma la donna gli strinse il braccio con più forza.
<<Biondina… sei decisamente carina per essere morta, ma ora ho bisogno di un fottuto momento…>>, cosa avrebbe fatto? L’avrebbe mandata a fanculo? L’avrebbe messa alla porta senza cerimonie? Le visioni potevano essere sbattute fuori di casa? Si sentiva un ebete.

Anita gli sorrise per un momento, ma i suoi occhi si rabbuiarono immediatamente. Sembrava spaventata da qualcosa alle sue spalle, ma non c’era nulla.
Afferrò l’analgesico e lo mandò giù senza acqua e a stomaco vuoto. L’ideale per beccarsi un’ulcera, ma la visione di una stangona da urla, terrorizzata e splendente di fronte a lui… diciamo che forse era meglio un’ulcera che una diagnosi di schizzofrenia grave.
<<Devi andartene!>> Gli urlò. <<Ora!!!>>
La porta di casa venne buttata giù a calci e dei tizi armati di tutto punto irruppero in casa. Franco alzò le mani sopra la testa inebedito.
<<La ragazza, dove si trova?>>
Franco riuscì solo a balbettare sillabe senza senso. Non capiva più un cazzo di quello che stava succedendo. Si guardò intorno alla ricerca della sua dolce visione, ma Anita si era dissolta nell’aria novembrina. Uno dei tizi gli puntò un revolver in faccia.
<<dove l’hai nascosta?>>
<<Chi?>>, l’uomo in nero sorrise in un ghigno che non lasciava presagire nulla di buono, mentre il secondo alzò le spalle e gli tirò un pugno alla bocca dello stomaco.
Franco si sentì svuotare i polmoni e si accasciò a terra desideroso di aria. <<Il nostro amico fa lo spiritoso!>>, gli afferrarono i capelli e gli tirarono indietro la testa. <<Non te lo richiederemo di nuovo: Anita Tarozza, dove si trova?>>, <<Un momento fa era qui, dov’è andata?>>, concluse il secondo tizio.
Franco sgranò gli occhi. <<La bionda è morta stanotte, accoltellata con un cacciavite! Lo giuro non so nient’altro!>>
I due scoppiarono a ridere, erano pazzi… forse più di lui! Serrarono la presa sui suoi capelli, sollevandogli il mento e tutto quello che accadde fu velocissimo.
Una lama disegnò una linea dritta e profonda sulla sua gola e i due lo liberarono. <<I mostri… non possono morire!>>.
Franco si portò le mani alla gola, sentiva pizzicare e caldo. Tutto intorno a lui cominciò ad adombrarsi e a sparire, così come quei due tizi. Nella sua vita era stato disonesto, cinico e aveva tenuto tutti lontani. Nessuno avrebbe sentito la sua mancanza. Nessuno lo avrebbe cercato.
Sarebbe morto nel suo salotto, circondato dai cartoni della pizza sporchi e dai pasti take away non finiti. Sarebbe morto solo, senza aver combinato nulla nella vita.
È strano come in momenti come questi la gente si trovava a soppessare le scelte fatte durante la vita e a rimpiangere tutto ciò che non era riuscito ad ottenere. Non avrebbe più avuto la possibilità di trovare una bella donna o di crearsi una famiglia. Era stato un vero e proprio cazzone e ora? Ora, sarebbe morto dissanguato all’interno di casa sua.
Chiuse gli occhi, sempre più stanco e rassegnato, quando un caldo tepore lo avvolse. <<Franco, svegliati…>>, intravide il volto di Anita e le sorrise.

<<Franco, svegliati!>>, gli urlò Antonio, <<vattene a casa… o vuoi collassare di nuovo qui?>>.
Franco si alzò in piedi, con un balzo che fece divertire i presenti. Si portò le mani alla gola e allo stomaco. Gli girò la testa violentemente e il suo amico Anselmino lo afferrò al volo.

<<Minchia Franco, non dirmi che mo’ non sai reggere qualche goccia di alcool?>>, l’uomo si guardò intorno e Anita non c’era… vomitò l’anima sulle scarpe del suo amico, che gli diede una violenta pacca sulla schiena, <<cazzo! Dillo prima, che ti lanciavo al cesso… mo’ chi lo dice a Sandra, che sto frocio m’ha inzozzato?>>

Franco tirò un sospiro di sollievo… era stato un incubo, un brutto, bruttissimo incubo. Si accasciò sul bancone e cominciò a ridere. Antonio gli versò un bicchierino di vodka e lo trangugiò tutto d’un fiato.
Cominciò a ridere, si trovava tra amici, al sicuro, cosa mai poteva andare storto?
Qualcuno bussò alla saracinesca. <<Ohe? È chiuso>> urlò Antonio.
<<Sono l’Anita, dai bello ho freddo>>.
Franco guardò la donna, come se avesse appena visto un fantasma e deglutì.

*

Capitolo 3 – scelte e destino

Con movimenti calcolati Franco si alzò, cercando di non fare il minimo rumore, cosa difficile visto il pieno d’alcol che aveva in corpo.
<<Io allora ragazzi vado>> accennò un saluto.
Incrociò lo sguardo limpido di Anita, per un momento, poi passò sotto la saracinesca e sparì alla vista degli altri.
Una volta fuori guardò l’auto, lì a pochi passi. Guidare non era il caso, la testa girava, il terreno sotto di lui sembrava fatto di pastafrolla. A fatica estrasse il cellulare, meglio chiamare un taxi.
Compose il numero e attese, attese. Dieci minuti dopo la Station Wagon bianca apparve davanti a Franco.
<<Buonasera, dove andiamo?>> era un volto familiare.
<<Via San Polo, 9>>
<<Ricevuto>>.

La mattina Franco si tirò su dal cuscino in cui era sprofondato. Aveva passato una notte terribile fatta di sogni e sudore. Si guardò intorno stralunato e si trascinò fino in cucina, dove cercò di mettere sotto ai denti qualcosa di solido.
Con un gesto meccanico accese la TV.
<<…il corpo di una giovane prostituta è stato rinvenuto in un fosso…>>
L’attimo dopo apparve il faccione di Anselmino
<<L’è andata via tardi dal bar, era arrivata a bar chiuso per un cicchetto e per scaldarsi mentre si faceva una partitella tra amici, poi erano venuti a prenderla due tipi. Io non li ho visti bene in faccia, l’eran rimasti di là dalla saracinesca, vedevo solo che ci avevano pantaloni neri e scarpe nere, come i becchini!>>

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